"Piccolo Vocabolario delle definizioni sospese” di Carolina Lio
Andrea Benetti, artista bolognese, si presenta nei mesi di marzo e aprile alla Galleria St’Art con la sua personale. Questa è formata da una quindicina di opere su tela e paragonabile, come esprime il titolo, a un piccolo dizionario. Ogni opera che Benetti crea è, infatti, una sua personale spiegazione e definizione di un concetto, di una parola, di un tema. Dal ciclo della vita alla televisione, dall’equilibrio ecologico alla donna, fino ancora all’informazione mediatica e via dicendo, ogni lavoro si presenta come una spiegazione imprevedibile e, in fin dei conti, impossibile. Perché impossibile? Perché si tratta di concetti vasti, usati, sfruttati, a volte persino svenduti. E che proprio per questo acquistano interesse in una logica di sfida personale che il preciso, a volte pignolo, Andrea Benetti, vuole racchiudere in una immagine. Una e una sola, non una serie, non annosi studi, non infinite ricerche stilistiche su uno stesso messaggio. Una e una sola opera che dev’essere puntuale e il più possibile esauriente su temi inesauribili.
Per comprimere le infinite parole, sensazioni, informazioni e contraddizioni su questi soggetti, Benetti opera in due momenti diversi. Un primo teorico/filosofico, dove trascrive le sue stesse opinioni, che volendo sono parte integrante del lavoro finale. E un secondo, naturalmente pratico, in cui crea l’opera. Questa, una volta finita, si presenta come un insieme di elementi geometrici, piani o tridimensionali, creati con mezzi non sempre canonici, come fili per tagliaerba, molle e specchi. Tutti sono collegati tra loro da delle corde e molle sollevate sull’opera per mezzo di gancetti e dalle ombre che quindi proiettano. Il risultato complessivo, creato dagli elementi e dalle loro correlazioni è una figura vagamente riconoscibile in una stilizzazione il più delle volte decisamente minimale.
Ricco di sfumature, accostamenti più che felici e riuscite sperimentazioni, è invece l’uso del colore, artefice nella maggior parte dei casi della grande validità estetica delle “definizioni benettiane”. E forse proprio per fermare il fascino di questo mezzo e fare in modo che non prevalga sul significato concettuale, lo usa con parsimonia, e lo piega alla funzione pratica di rafforzare i legami tra le varie parti della composizione tramite un gioco di rimandi e di richiami, di equilibri creati con una precisione perfetta.
Le strutture così complicate, a volte addirittura smontabili, in un equilibrio fintamente fragile, caratterizzano dunque tutto il suo lavoro, tutte le sue definizioni, che invece di ridurre – come si potrebbe pensare – i temi universali considerati, li spiegano sotto un’ottica estremamente ampia. Non esiste una sola dimensione, sembra dirci Andrea Benetti, ma vari punti di vista e varie situazioni. Solo se riusciamo a metterle in correlazione tra loro, a trovare un punto di equilibrio che le medi tutte senza escluderne alcuna, avremo una visione larga, completa, finalmente veritiera di quello che cerchiamo di spiegarci.
Carolina Lio |
Critica e Storica dell’arte |
Curatrice del Museo d’Arte Contemporanea di Lucca |