"Le Croci di Andrea Benetti” di Fernando e Gioia Lanzi
Tutto nelle tele delle Croci di Andrea Benetti parla di gioia, di serenità, di natura, di certezza nella Risurrezione, non ostante la croce sia strumento di supplizio, di morte e di morte terribile, perché strumento destinato alla pena più ignominiosa, riservata ai malfattori più abbietti.
E questa evidenza gioiosa è immediatamente trasmessa dalla ricchezza, dalla luminosità e dalla gamma della tavolozza usata dall’Autore.
E’ una gioia e una serenità quasi infantile, ma non di quell’infanzia che bamboleggia trastullandosi con giochi effimeri, bensì di quell’infanzia per la quale è aperto il regno dei cieli, condizione stessa della conversione,se si vuole entrare nel Paradiso:
«In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18,3).
Quasi un clima della primordiale “età dell’oro”, quando la guerra e l’odio non erano ancora entrati nel cuore umano: il clima dell’Eden descritto dal libro della Genesi.
E questa immediata sensazione, che nasce al primo sguardo, viene ampiamente confermata, guardando attentamente, dalla presenza dei simboli che hanno il potere di agire nel profondo e di risvegliare echi e conoscenze che affondano le loro radici universali nell’animo umano.
Le croci sono tutte “luminose” perché colorate di bianco, il colore cioè, dei tre propri del divino, che rimanda alla luce increata e incarnata che viene da Oriente,
Incarnazione resasi necessaria, dopo il peccato dei Progenitori, per conoscere la via per tornare al Padre, al Giardino (Paradiso) primigenio, dove non esiste peccato né tramonto, e dove tutto è gioia nella contemplazione di Dio.
In molte di queste croci è la traversa, il patibulum, che interseca l’asse verticale, lo stipes, a significare i numerosi tentativi delle forze malvagie del mondo di contrastare l’azione di Cristo, il “senza tempo”, che ha fatto irruzione nel tempo per salvarlo, insegnando all’uomo la via per tornare “bambino”, concetto questo evidenziato dalle croci dove lo stipes interseca il patibulum spezzando le catene del peccato che tengono l’umanità ancora al suolo e ne impediscono l’ascesa.
Gli sfondi da cui queste croci emergono lanciano simbolicamente messaggi positivi di gioia, pace e Risurrezione.
Innanzi tutto nella molteplicità delle forme e dei colori che rimandano come le vetrate gotiche, alla bellezza, inesprimibile umanamente, ma solo intuibile, della ricchezza paradisiaca.
Sono figure celesti, floreali, tutte con gli spigoli arrotondati, quasi a esprimere che presso Dio non vi sono asperità.
Le stelle a cinque punte ricordano le ferite di Cristo –vero Adamo- in croce, supplizio e morte necessari per la nostra salvezza, per riscattare il peccato di Adamo ed Eva.
Le stelle a sei punte ci dicono con le loro sei estremità le iniziali di Gesù Cristo nelle nobili maiuscole greche dello iota (I) e del chi (X) di Iesus Xristos.
Il grande fiore a dodici petali rimanda alla città dalle dodici porte della città celeste dell’Apocalisse (Ap 21,10-14.22-23), la Città di Dio, sicura dimora degli eletti che si salvano prendendo le proprie croci e seguendo le orme del Figlio di Dio incarnato.
Le forme ellittiche prive di spigoli sono simboli della perfezione di Dio, mentre i triangoli ne rappresentano la trinitaria Unicità.
Le frecce ricolte verso l’alto ci insegnano ed indicano, come i campanili delle chiese, la meta.
L’uso poi che l’Autore fa di miscelazioni di colori e di essenze aromatiche vegetali esprime la sua volontà di coinvolgere ogni aspetto della natura, compresi gli aromi e il mondo vegetale, nel messaggio che con queste sue produzioni rivolge ai riguardanti.
Un’ultima osservazione sulla grande installazione che completa l’esposizione di queste dodici tele.
La croce ottenuta intrecciando semplicemente due assi di legno di aspetto e forma molto “naturali” rimanda all’Albero della vita, alla croce che da strumento di morte è diventata profezia certa di Risurrezione, mentre la preziosità delicata delle due verghe di vetro “inchiodate” sul legno alludono alla Crux pretiosa bizantina, che diceva in simbolo della preziosità incommensurabile del corpo di Cristo lì sopra inchiodato per la nostra salvezza.
Fernando Lanzi |
Direttore del Museo Comunale della Beata Vergine di San Luca |
Membro della Commissione Arte Sacra e della Commissione per la Liturgia della Arcidiocesi di Bologna |
Docente del corso quadriennale d’arte sacra presso l’Istituto Veritatis Splendor della Chiesa di Bologna |
Gioia Lanzi |
Docente di Arte Sacra presso lo Studio filosofico domenicano di Bologna |
(affiliato alla Pontificia Università “San Tommaso d’Aquino” in Roma) |
Vice direttore del Museo Comunale della Beata Vergine di San Luca |
Titolare del seminario di Storia dell’arte cristiana presso la Facoltà teologica dell’Emilia Romagna |
Docente del corso quadriennale d’arte sacra presso l’Istituto Veritatis Splendor della Chiesa di Bologna |