“Recensione critica sull'artista Andrea Benetti” di Bruno Chicca
Ho conosciuto di recente l’arte contemporanea di Andrea Benetti, ospitata in numerosi musei e collezioni private e accolta alla biennale d’arte a Venezia: ho potuto captarne la sua poetica, la sua forza comunicativa e la sua profonda ammirazione per l’universo primigenio. È artista assiduo, caparbio nella manifestazione di dissenso e di diniego nei confronti del mondo moderno, lucidissimo nell’esaltazione dell’ “abstràhere” come “exemplum vitae” e cinico nel recupero dello status quo. Contamplare i suoi lavori è stato come assistere allo sprigionarsi di una nuova energia latente, esplosa come una folgore in febbrile stato cinetico dove le linee, i colori e le forme danzano sulla tela. Le sue ideazioni tecniche, corroborate dalle sagome polilobate e dalle figure della geometria piana rivivono una sorta di orogenesi spontanea: le sostanze naturali liquefatte, il caffè, il karkadè o l’hennè si improvvisano protagoniste nello spazio pittorico bidimensionale.
Tangenzialmente all’astrazione di un Kandinskij o alle primordiali creazioni di Klee o di un Miro, Andrea Benetti sentenzia con il pennello il destino dell’umanità; non un punto di non ritorno ma un provocatorio “back to the past”, non esente da reminescenze dadaiste. La casualità, la spontanea transustanziazione delle sue resine sul plexiglas, come come fenici divampano in nuova vita; la consunzione delle strisce imbibite di caffè e di karkadè accolgono con l’entusiasmo di un fanciullo animali, forme antropiche, stelle, circonferenze, automobili, barche e aeroplani, dove lo spazio tridimensionale è precluso.
È sinfonia e non omofonia dei colori: delimitate da contorni serpeggianti o ogivali, le tinte, mai in collisione, rispondono gaie alla sapiente conduzione dell’artista che dirige la sua orchestra. I bisonti, le aquile, i cervidi, i cacciatori, i cerchi i pentagoni e le lune si contendono avidi il posto in scena, fluttuando in lievitazione tra labirintiche e sovrapposte composizioni, squarciate qua e là da impetuose secanti curve: spirali, forme coralline, ammoniti, coclidi segni si rigenerano sulla tela.
La pittura neorupestre: ecco la terapia dell’umanità, come dichiara Andrea Benetti; il simbolismo magico-propiziatorio delle immagini delle caverne ha già rivelato, nella sua espressione, come un oracolo delfico, la via. La pittura delle origini, una cartesiana ed euritmica ricerca della vita primordiale, il cammino zelante della purificazione, il raggiungimento del nirvana: “conditio sine qua non”, pare annunziare l’arte di Andrea Benetti, contro il martirio del pianeta. La soluzione estrema, la profezia di salvezza.
Prof. Bruno Chicca |
Docente all’Università Primo Levi |
Critico e storico dell’arte |