"La pittura Neorupestre di Andrea Benetti” di Antonella Gallone
L’artista bolognese Andrea Benetti, autore del “Manifesto dell’Arte Neorupestre”, si racconta in un’intervista rilasciata a monitorARTI. Nato nel 1964, si forma nel liceo artistico di Bologna, interessandosi di arte e musica. La sua pittura, che fonde i colori ad olio con elementi naturali quali cacao, caffè, karkadè ed hennè, si ispira ai segni che l’uomo primitivo tracciava sulle pareti del grotte per invocare il divino o, semplicemente, per un’esigenza di espressione. Andrea Benetti ha esposto in prestigiose rassegne e le sue opere sono annoverate nelle collezioni di gallerie e musei in tutto il mondo. Nel maggio scorso il pittore ha incontrato gli studenti del corso in Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università del Salento in un seminario sull’arte neorupestre.
AG: Prima dell’avvento della scrittura, gli uomini appagavano l’atavico bisogno di comunicare attraverso il linguaggio visivo della pittura. L’uomo contemporaneo ha spezzato il panismo che lo legava alla natura, ponendo se stesso al centro dell’universo. Nel “Manifesto dell’Arte Neorupestre”, stilato nel 2006 e poi presentato in occasione della 53a Biennale di Venezia, si avverte l’urgenza di ripartire dall’arte primigenia e ritornare ad una condizione di incontaminata purezza, abbattendo il potere della pubblicità e del consumismo. Cos’è per lei l’arte neorupestre? L’arte Neorupestre è un momento di riflessione per ricordare sempre all’essere umano le proprie origini, per ricordargli che siamo parte integrante della natura e che avvelenando quest’ultima, avveleniamo noi stessi.
AB: L’arte Neorupestre è un modo simbolico, attraverso l’espressione artistica, per ripartire da zero, ricominciando dalle origini dell’uomo, per ripartire ponendo come priorità ed al centro dell’attenzione, il rispetto per l’ambiente e per la dignità dell’individuo; valori troppo spesso calpestati in nome di una crescita economica, che arricchisce le oligarchie e manovra furbescamente le menti dei popoli, a seconda della propria convenienza. L’arte Neorupestre è un modo per continuare a sperare che si possa avere un’equità sociale, una solidarietà vera e non abusata nelle parole e strumentalizzata nei fatti, come troppo spesso accade. Infine, l’arte Neorupestre è anche per me un modo di “giocare” con la nostra storia, poiché amo mantenere una componente ludica nella mia pittura, per intenderci, quella che mantiene vivo il fanciullo che è vivo in me e che spesso traspare nelle mie opere.
AG: “Omaggio alla pittura rupestre”, “L’astrattismo delle origini” e “Un primitivo nel terzo millennio” sono le tre tipologie in cui si articolano le sue opere, non immuni ad uno spiccato senso ludico. Ce ne parli.
AB: L’omaggio alla pittura rupestre dona il giusto tributo ad uomini che decine di migliaia di anni fa, sentivano l’esigenza di comunicare visivamente, di lasciare una traccia di sé, penetrando nelle parti più recondite delle grotte, rischiando la vita, poiché allora gli animali feroci sbranavano noi umani con molta facilità. Costoro hanno l’onore immenso di avere inventato l’arte o, meglio, di averla manifestata per primi, in quanto ritengo che l’esigenza di creare arte sia endemica a gran parte degli esseri umani. L’astrattismo delle origini è un modo per ricordare concretamente al mondo dell’arte, semmai ce ne fosse bisogno, che l’astrattismo, il figurativo, il simbolismo, il concettuale, almeno nella loro fase embrionale, erano già stati concepiti dall’uomo preistorico. Le forme geometriche presenti nelle pitture rupestri, i simboli studiati e codificati da André Leroi Gourhan, sono rivisti, trasfigurati, idealizzati, sognati, inventati nei miei dipinti, che vogliono rendere omaggio all’astrattismo delle origini. La tipologia da me chiamata “Un primitivo nel terzo millennio” in parte l’ho spiegata nella conclusione della risposta precedente, ovvero è il fanciullo mai sopito che vive in me e che si diverte ad immaginare che cosa un uomo preistorico raffigurerebbe oggi, nella ipotetica parete rocciosa. Come spesso dico scherzosamente, non certo cavalli o bisonti, poiché capita molto di rado di incontrare nelle città che abitiamo; piuttosto quelli che oggi sono i simboli della nostra civiltà, ovvero la nostra iconografia. Ecco allora che le opere raffigurano barche a vela, giocatori di golf, automobili, aerei, motoscafi, treni, ma anche fiori, curati esteticamente in modo maniacale… ecco cosa, secondo la mia fantasia e la mia parte ludica del bambino mai sopito, oggi rappresenterebbe l’uomo delle caverne sulle pareti rocciose.
AG: “Esplorazione inconsueta all’interno della velocità” è il titolo del libro pubblicato nel 2009 in cui enuncia, attraverso la pittura, le sue tesi sulla velocità in relazione ai cicli storici e all’evoluzione delle civiltà. A quali “inconsuete” teorie è approdato?
AB: Premettendo che non sono un filosofo, o almeno non me ne sono mai accorto, ho però concepito una tesi, con la quale sostengo che il desiderio di velocizzare la nostra società e, di conseguenza, la nostra esistenza, non è altro che la volontà di esorcizzare la paura umana nei confronti della morte. Il riempire freneticamente di avvenimenti (impegni) le nostre vite, ci dà la sensazione di vivere più a lungo, quasi a calmare l’atavica aspirazione umana di eternità. Allora nel libro ipotizzo quella che chiamo la “Teoria della fisarmonica”, paragonando la nostra vita al soffietto dello strumento, laddove il suonatore, per allungare l’estensione della fisarmonica aumenti il numero delle pieghe del soffietto (metafora parallela con la lunghezza della vita ed il numero di avvenimenti che la caratterizza), senza rendersi conto che la durata, o meglio, l’estensione del soffietto è data dalla lunghezza delle braccia che la suonano e che quindi, le pieghe aggiunte, rischiano soltanto di peggiorare la qualità del suono che, nella metafora, è la qualità della vita. Questa frenesia, questo processo di velocizzazione, è parte integrante di un sentimento dell’uomo contemporaneo, di avere il dominio assoluto su tutto. Ed è proprio questo “tutto”, che l’uomo vuole dominare fino all’ultima molecola, che io rappresento con una neosimbologia, attraverso la stilizzazione dell’aquila e della balena (simbolo che è diventato anche il mio logo). Questi due animali, sono accostati poiché l’aquila vola più in alto di tutti ed, allo stesso modo, la balena nuota negli abissi del mare più profondi. Tra questi due simboli, si muove ed esiste tutto il resto, ovvero il mondo.
AG: Lo scorso settembre, lo scenario ancestrale della caverna “La Grave” di Castellana Grotte (BA) ha fatto da sfondo alla mostra “La pittura Neorupestre”. Quali suggestioni derivano da un contesto naturale a cui le sue opere sono intimamente legate? Quali i luoghi destinati a spazi scenografici per le future esposizioni?
AB: Devo dire che l’onore di essere dentro quel “museo della magnificenza della natura” che sono le grotte di Castellana, mi ha emozionato più di qualsiasi museo tradizionale, per quanto prestigioso e propedeutico ad un blasone superiore nella mia carriera di pittore. Accostare le mie opere ad un luogo di bellezza eterna è stato emozionante oltre ogni mia immaginazione della vigilia. Veder proiettati alcuni soggetti delle mie opere, mutuati dalle pitture rupestri, in dimensioni gigantesche (6 x 4 metri) sulle pareti rocciose, che sembravano essere dipinti sulla roccia, mi ha gratificato tantissimo. Anche il percorso con le sette opere esposte è stato realizzato senza che avesse nulla da invidiare all’allestimento di un moderno museo. L’organizzazione delle Grotte di Castellana, ha predisposto una illuminazione ex novo per le mie opere, montate su pareti bianche, installate nel percorso della mostra tra le rocce. A completare la totale soddisfazione per l’evento vi è stata la magnifica performance musicale di Frank Nemola, che mi ha onorato componendo ed eseguendo dal vivo una ventina di minuti di musica dentro la caverna “La Grave”, colonna sonora della mostra e del video realizzato per raccontarla. Come prossime tappe ho un paio di “colpi” veramente di primissimo ordine, ma per scaramanzia, nonostante siano già confermati, non racconto, ma sono certo che ne sentirete presto parlare. Posso solo dire che ambisco a ripetere l’esperienza della “mostra in caverna” nelle principali grotte italiane, sempre che io trovi la disponibilità e la genialità nel “supportarmi”, che ho trovato nel Comune di Castellana Grotte.
Antonella Gallone |
Giornalista e critica d’arte |