"L'oscurità delle Grotte per ritrovare la luce” di Luisa Ruggio
Se esiste una «bibliosensualità» è nata nelle caverne, dentro i simboli asciugati sino al segno che anticipava – con pigmenti sopravvissuti a un tempo favoloso – l’intimità del gesto di scrivere, i marginalia di ogni storia e l’inizio di un inconscio collettivo. Prima delle tavolette di Ebla (quel vocabolario sumero, scolpito a caratteri cuneiformi simili a orme lasciate da misteriose passeggiate di uccelli), non eravamo tutti scrittori, semmai eravamo disegnatori. E la pittura rupestre caratterizza una biblioteca diffusa, in parte decodificata e ancora misteriosa, che ha ispirato scrittori, esploratori, artisti. Basti pensare al capolavoro di Micheal Ondaatje, Il paziente inglese, un romanzo che ruota intorno alla Caverna dei Nuotatori, nel remoto altopiano del Gilf Kebir, profondo Sahara. A queste latitudini, sono i graffiti della Grotta dei Cervi a Porto Badisco, nel Salento, a scandire ancora il ritmo di uno zibaldone disegnato col guano, ma la Puglia primordiale è evocata dal paesaggio archetipico che nelle Grotte di Castellana trova il suo apice. Ed è proprio a questo mondo di stalattiti e stalagmiti che si rifà «Archetipi nell’oblio», un lavoro artistico che unisce la visione del pittore neorupestre Andrea Benetti, bolognese, classe ‘64 – padre del Manifesto dell’Arte Neorupestre, presentato nel 2009 alla Biennale di Venezia – e il fotografo brindisino Dario Binetti. Quella Benetti-Binetti è una collezione fotografica che in questi giorni porta le Grotte di Castellana in mostra a Venezia, in concomitanza con la 60ª Biennale d’Arte, grazie ad una delle più visionarie fra le collaborazioni firmate in tandem dal pittore che ha fatto dell’Arte Neorupestre una nuova frontiera nei programmi di studi sul contemporaneo negli atenei italiani e stranieri. Come catturare l’essenza degli archetipi? Questa domanda ha trasformato le Grotte di Castellana in un set fotografico di ispirazione esoterica e in vestali, ombre monastiche, le danzatrici della Compagnia ResExtesa diretta da Elisa Barrucchieri. «L’idea delle grotte di Castellana – spiega Andrea Benetti – nasce dal mio desiderio di ritrarre un luogo unico al mondo e dall’opportunità di partecipare ad un percorso espositivo che ha come tema l’esoterismo». Il risultato non è una compiaciuta nostalgia del passato di stampo misterico, semmai, come spiega Benetti, «si tratta di un bisogno di azzeramento, per generare una ripartenza della nostra storia umana che vive un’epoca minata alla radice dei diritti umani. L’arte può creare un mondo nuovo, un segno inedito». Del resto, Benetti si è confrontato con i pensatori del ‘900, fra tutti Umberto Eco, che come lui scavava nell’oscurità per ritrovare linguaggi di luce. Quella luce simbolo di un sistema evolutivo stratificatosi sino a incapsulare enormi frammenti di un tempo altrimenti perduto, che è Storia di tutti. Per dirlo, Benetti ha affidato alle vestali-danzatrici di questo suo nuovo corpus fotografico, quei candelabri che illuminavano il buio. «Ogni fotografia di questa collezione è un’opera unica – continua Benetti – perché queste immagini le abbiamo realizzate con la tecnica del doppio scatto, stampate a getti di polvere polimerizzata coi raggi U.V. su bassorilievi creati col fondo di gesso sulle tele che solitamente uso per dipingere». Come unire pittura neorupestre e fotografia? Le opere, risponde Benetti, «sono di tipo industriale, il supporto che utilizziamo resta una tela, non mi è mai piaciuto dipingere su pellicola o su stampa digitale, osservata da vicino l’opera è increspata. Ecco il sistema che abbiamo escogitato per creare un ponte fotografia-pittura ».
Oltre alle Grotte di Castellana, Benetti resta legato alla Puglia per la Grotta dei Cervi che ha ispirato una delle opere della sua ricerca, «Omaggio a Badisco», esposta nel Museo di Arte Contemporanea di La Spezia. Perché indagare concetti ancestrali sommersi? «Perché, come ho dichiarato nel Manifesto dell’Arte Neorupestre – conclude Benetti – l’arte è un’emozione, può manifestare una forza negativa, ma non deve distruggere le cose belle della vita. Ecco perché mi lascio ispirare dalla pittura rupestre e ho scelto le Grotte di Castellana per questo progetto: simbolicamente vorrei che fosse una possibilità di azzeramento, la riscrittura per una nuova società. I nostri simboli hanno una forza incalcolabile, ripartiamo da qui».
Luisa Ruggio |
Giornalista |