"Forme senza tempo" di Stefano Bonaga
In principio era il nome. Ma non in senso teologico, ma in senso linguistico. La nominazione della cosa applica ad essa il confine _la definizione_ dunque i limiti del nome. Ti estì? Si chiede Socrate: cosa è qualcosa, cosa è questa cosa. Il paradigma del linguaggio indoeuropeo colonizza la cosa, che appare nella giurisdizione del concetto invece che nella materialità del suo essere causa. Dunque la domanda che cosa è l’arte è una domanda mal posta. Prima di proporre una domanda più adeguata occorre riflettere su alcuni equivoci culturali consolidati. A rigore, la stessa espressione storia dell’Arte è fuorviante: noi concepiamo la storia in generale secondo il concetto greco di Kronos. Il senso del Kronos è il superamento, l’inattualità del passato dal punto di vista della sua pertinenza per il presente. Di conseguenza più adeguata al posto dell’espressione storia dell’Arte sarebbe l’espressione “storia dei fenomeni artistici” o “storia delle opere d’arte”, perché l’arte non è nel tempo Kronos, ma in quello che i greci chiamavano Aiòn, ovvero un eterno presente. L’eterno presente dell’arte implica il tema del suo senso e dei suoi significati. In un capitolo delle sue Ricerche Filosofiche intitolato “Il significato in senso extralinguistico” Ludwig Wittgenstein ci consente di porre il problema dell’arte in una forma che elude la domanda socratica sul “cos’è?”. Egli ci suggerisce di concepire il significato dell’arte nei termini della quantità e qualità di storie che un’opera genera: dove per qualità si intende la pletora di emozioni, riflessioni, reazioni, identificazioni, imitazioni, immaginazioni etc. Dunque in accordo con questa visione la domanda radicale sull’arte non riguarda la sua natura, ma la sua potenza, ovvero la sua capacità generativa di esperienze vitali. Se è grottesco pensare che il significato del dipinto “La sedia” di Van Gogh sia il suo referente, cioè la sedia raffigurata, non si può che concludere che il significato effettivo coincide con la sequenza di “storie” che esso ha fatto emergere nel tempo, sul piano individuale e collettivo e la cui effettualità permane e si rinnova nel tempo di un eterno presente. A partire da queste riflessioni in fondo semplici, il lavoro di Andrea Benetti rivela con altrettanta semplicità la posta in gioco del suo operare: la permanenza della potenza primitiva del raffigurare, nella esperienza analoga della registrazione delle forme dell’ambiente moderno, conservando tutta via la meraviglia originaria di fronte al loro apparire. È a partire dalla vigenza della Aiòn nell’arte che la prospettiva indietreggia ed avanza senza confini temporali, nella pura arbitrarietà della decisione estetica.
Prof. Stefano Bonaga |
Docente di Antropologia filosofica |
Università di Bologna |